Consulenza scientifica
LDL E PARTICELLE ULTRAPICCOLE: UN LEGAME DIRETTO CON IL RISCHIO DI ALZHEIMER
La relazione tra colesterolo LDL e malattie neurodegenerative come l’Alzheimer si fa sempre più chiara alla luce delle ultime evidenze scientifiche. Oltre al ruolo ormai consolidato nel favorire patologie cardiovascolari come infarto e ictus, emergono nuove associazioni che collegano il profilo lipidico alla salute del cervello. Secondo una recente pubblicazione su Neurology, esisterebbe un legame diretto tra livelli elevati di particelle di LDL particolarmente piccole e dense (sdLDL-C, “supercattivo”) e l’aumento del rischio di sviluppare Alzheimer nella terza età.
La ricerca ha analizzato un sottogruppo di oltre 800 partecipanti del celebre Framingham Heart Study, uno dei più importanti studi longitudinali avviati nel 1948 per comprendere i fattori di rischio cardiovascolari. Gli individui inclusi nell’analisi avevano almeno 60 anni ed erano inizialmente privi di qualsiasi sintomo cognitivo. Lo studio ha monitorato per oltre trent’anni i loro livelli di colesterolo LDL, HDL e le varianti più pericolose come le sdLDL-C. I risultati mostrano che non tutte le LDL sono uguali: le particelle più piccole e dense sono quelle maggiormente coinvolte nei meccanismi di declino cognitivo, superando il rischio generico attribuito alle LDL standard.
In totale, sono stati documentati 128 casi di malattia di Alzheimer tra i soggetti osservati fino al 2020. Questo tipo di colesterolo non solo penetra con più facilità nelle pareti vascolari, favorendo la formazione di placche aterosclerotiche, ma sembrerebbe anche interferire con la funzione neuronale e con la perfusione cerebrale. Questi risultati rafforzano l’importanza di un attento monitoraggio dei lipidi nel sangue, non solo per proteggere cuore e arterie, ma anche per preservare le funzioni cognitive con l’avanzare dell’età.

COLESTEROLO E DEMENZA: COSA CI DANNEGGIA E COSA PUÒ PROTEGGERCI DAL RISCHIO DI ALZHEIMER
Le più recenti scoperte scientifiche delineano con sempre maggior precisione il complesso legame tra colesterolo LDL e rischio di Alzheimer, evidenziando non solo i fattori dannosi ma anche alcune sorprendenti componenti protettive presenti nel metabolismo lipidico. Un incremento di una sola unità di deviazione standard nella concentrazione delle particelle piccole e dense di LDL (sdLDL-C) è correlato a un aumento del 21% del rischio di sviluppare Alzheimer. Queste particelle ultrafini, più facilmente ossidabili, penetrano nei vasi sanguigni cerebrali contribuendo a processi infiammatori e aterosclerotici.
Tra i lipidi nel sangue, si nasconde anche un potenziale effetto protettivo. Un ruolo significativo è attribuito all’ApoB48, una particolare apolipoproteina responsabile del trasporto dei grassi alimentari dall’intestino al sistema circolatorio. A ogni incremento di una deviazione standard nei livelli di ApoB48 corrisponde una riduzione del rischio di Alzheimer del 22%. Questo suggerisce che non tutti i meccanismi legati al metabolismo lipidico siano dannosi: alcune vie di trasporto e metabolizzazione dei grassi sembrano contribuire alla protezione del cervello.
Un dato interessante riguarda il colesterolo HDL, comunemente ritenuto “buono”. In questo studio, anche i soggetti con livelli bassi di HDL sembravano avere un rischio ridotto di Alzheimer, suggerendo che la relazione tra lipoproteine e declino cognitivo potrebbe essere più complessa di quanto finora ipotizzato. Nel complesso, emerge con chiarezza l’importanza di intervenire precocemente sul profilo lipidico per prevenire le malattie neurodegenerative.

COME AGIRE SUI FATTORI DI RISCHIO PER RIDURRE IL RISCHIO DI DEMENZA: IL RUOLO DEL COLESTEROLO LDL
L’Italia è tra i Paesi europei con la più alta aspettativa di vita, e negli ultimi decenni si è osservata una significativa riduzione dell’incidenza di malattia a parità di età. Tuttavia, il rapido invecchiamento della popolazione comporta un aumento esponenziale dei casi di demenza, destinati a triplicare entro il 2050: dai 1,2 milioni del 2019 si potrebbe arrivare a oltre 3 milioni di persone colpite, con un impatto economico stimato che supererà i 60 miliardi di euro annui. Questo trend interesserà anche i Paesi a basso reddito, dove l’aumento della longevità porterà inevitabilmente a una maggiore diffusione di malattie neurodegenerative. È però possibile agire in modo preventivo, modificando specifici fattori di rischio.
Accanto ai determinanti già noti – tra cui bassa scolarità, ipoacusia non trattata, pressione alta, fumo, obesità, depressione, sedentarietà, diabete, alcol in eccesso, traumi cranici, inquinamento atmosferico e isolamento sociale – si aggiungono nuovi elementi emersi da studi recenti. Tra questi, spiccano l’ipercolesterolemia LDL durante la mezza età e la perdita della vista non corretta in età avanzata. Tali condizioni sembrano contribuire in maniera significativa all’aumento del rischio di declino cognitivo.
Il cervello è un organo ricco di colesterolo, ma un eccesso di colesterolo LDL, in particolare nella forma sdLDL-C, può favorire processi infiammatori che ostacolano il corretto afflusso di sangue al tessuto cerebrale. La riduzione mirata delle LDL potrebbe quindi rappresentare una strategia protettiva non solo per il cuore, ma anche per la funzione cerebrale. Gestire i lipidi nel sangue, ridurre i fattori di rischio modificabili e adottare interventi mirati può offrire una duplice protezione: cardiovascolare e neurologica.
BIBLIOGRAFIA
- Islam A, Amin MN, Siddiqui SA, et al. Trans fatty acids and lipid profile: a serious risk factor to cardiovascular disease, cancer and diabetes. Diabetes Metab Syndr. Mar-Apr 2019.
- Charisis S, et al. Association of Lipoprotein Subfractions With Alzheimer Disease and Related Dementia. Neurology. 2024.
- Livingston G, Huntley J, Sommerlad A, et al. Dementia prevention, intervention, and care: 2020 report of the Lancet Commission. Lancet. Aug 2020.
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