Consulenza scientifica
COSA MISURA E COME LO MISURA
Il progetto American Gut è una piattaforma di citizen science che descrive il microbioma intestinale su larga scala con protocolli standard dell’Earth Microbiome Project, così i dati restano confrontabili e riutilizzabili. Ogni partecipante invia un campione di feci raccolto a casa su tampone, con regole di spedizione precise e un percorso analitico uniforme. La caratterizzazione usa il gene 16S rRNA, un “codice a barre” molecolare che identifica i batteri, elaborato con la pipeline Deblur per distinguere in modo fine le varianti (sOTU). Per evitare artefatti, vengono rimossi i “bloom”, cioè batteri che crescono durante il trasporto, operazione che pur eliminando in media una quota limitata di sequenze mantiene integre le associazioni biologiche.
Le letture vengono inserite in un albero filogenetico di riferimento e analizzate con metriche come UniFrac, che misura quanta “ramificazione evolutiva” due campioni non condividono. Il progetto ha raccolto oltre diecimila partecipanti e migliaia di campioni, con un sottogruppo “adulto sano” selezionato per età, BMI e assenza di antibiotici nell’ultimo anno, utile per analisi pulite. Il confronto tra Stati Uniti e Regno Unito mostra differenze nella diversità microbica interna ai campioni, con un segnale chiaro nell’indice filogenetico. I dati e i metadati anonimizzati sono pubblici e scaricabili, e ogni partecipante riceve un report standard con il proprio profilo. La piattaforma integra anche il metaboloma fecale, cioè l’insieme di piccole molecole presenti nelle feci, per collegare comunità batteriche e funzioni. Questo disegno consente confronti tra popolazioni industrializzate e stili di vita tradizionali, evidenziando firme tassonomiche tipiche della vita moderna. In sintesi operativa: campione domestico, standard unici, controllo qualità sui “bloom”, analisi filogenetiche robuste e restituzione dei risultati al cittadino.

COSA DICE LA DIETA: 30 PIANTE A SETTIMANA
Il dato più “pratico” è semplice da ricordare: contare quante specie vegetali diverse si mangiano in una settimana spiega il profilo del microbioma intestinale meglio delle etichette “vegano”, “onnivoro” o “vegetariano”. Chi consuma più di 30 piante/settimana mostra una diversità microbica più alta rispetto a chi ne consuma 10 o meno, segno di un ecosistema più ricco. La varietà di fibre alimentari nutre gruppi batterici complementari, favorendo fermentazioni che producono acidi grassi a catena corta, molecole che danno energia alle cellule del colon e modulano l’infiammazione. In questo gruppo emergono specie utili come Faecalibacterium prausnitzii e generi come Oscillospira, spesso associati a un intestino equilibrato.
Le analisi del metaboloma fecale confermano la traccia biochimica di una dieta ricca di piante, con un’attenzione speciale per gli isomeri dell’ottadecadienoico: l’acido linoleico e la sua forma coniugata aumentano quando la dieta è varia, suggerendo una maggiore conversione da parte dei microbi. La quantificazione molecolare usa HPLC-MS e approcci di “molecular networking” per mappare le sostanze presenti e collegarle a cibo, ospite e batteri. Oltre al beneficio sul profilo microbico, chi mangia molte piante mostra una minore abbondanza di alcuni geni di antibiotico-resistenza, un segnale di ecosistema più resiliente. Per applicarlo a tavola basta sommare le “piante” reali: un minestrone con carota, sedano e cipolla vale tre; un pane multicereale conta i cereali diversi. La regola è varietà, non estremi: frutta di colori diversi, verdure di stagione, legumi, cereali integrali. Così si alimenta una comunità che produce acidi grassi a catena corta e sostiene funzioni protettive.

COSA CAMBIA NEL TEMPO E CON GLI ANTIBIOTICI
Nel tempo, i campioni della stessa persona tendono a restare più simili tra loro che a quelli di altre persone, anche dopo molti mesi, segno di identità microbica individuale. Esiste però plasticità: un intervento chirurgico maggiore all’intestino può provocare uno “scatto di stato” del microbioma intestinale grande quanto la distanza tra biomi ambientali diversi, prova che gli eventi clinici possono rimodellare l’ecosistema. Lo spazio conta poco: negli Stati Uniti la correlazione tra distanza geografica e composizione batterica è debole, quindi abitudini e fattori personali pesano più dei chilometri. Tra i paesi industrializzati emergono differenze di diversità microbica (per esempio tra Regno Unito e Stati Uniti), ma il segnale maggiore appare quando si confrontano stili di vita industrializzati con comunità tradizionali agrarie o di cacciatori-raccoglitori.
Gli antibiotici riducono la diversità 16S, cioè il numero e la distanza evolutiva dei batteri rilevati, mentre la diversità molecolare del metaboloma può aumentare, segnale di un “chimismo” intestinale diverso dopo il farmaco. Questo paradosso ricorda che le molecole catturate nelle feci riflettono sia batteri sia dieta, farmaci e metabolismo dell’ospite. Nei campioni metabolomici compaiono anche molecole nuove o poco descritte, compresi N-acil ammidi che interagiscono con recettori ormonali dell’intestino e collegano i microbi a funzioni endocrine. L’infrastruttura aperta permette anche verifiche su salute mentale e altri fenotipi, grazie a sottocampioni abbinati per età, BMI e paese. Limiti chiari: coorte auto-selezionata, metadati auto-riportati, gruppi demografici sottorappresentati. Il messaggio operativo resta saldo: proteggere la diversità microbica con una dieta ricca di piante e usare gli antibiotici quando servono davvero.
BIBLIOGRAFIA
- McDonald D, Hyde E, Debelius JW, et al. American Gut: an open platform for citizen science microbiome research. mSystems, 2018.
- Lloyd-Price J, Mahurkar A, Rahnavard G, et al. Strains, functions and dynamics in the expanded Human Microbiome Project. Nature, 2017.
- David LA, Maurice CF, Carmody RN, et al. Diet rapidly and reproducibly alters the human gut microbiome. Nature, 2014.
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