ANZIANI, ANEMIA E VITAMINA D: COSA RIVELA LO STUDIO BEST-D

Il trial BEST-D ha dimostrato che la supplementazione quotidiana con vitamina D3, anche ad alte dosi, non modifica i livelli di ferro né migliora l’eritropoiesi negli anziani. I marcatori biochimici come epcidina, ferritina e sTfR sono rimasti invariati. Lo studio sottolinea che la vitamina D non è efficace per prevenire l’anemia da carenza marziale in soggetti sani e suggerisce nuovi approcci per popolazioni con infiammazione o carenza concomitante. Scopri di più con i medici di Cibum dell’Azienda ospedaliero-universitaria Senese

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Consulenza scientifica

Barbara Paolini

Medico dietologo e direttore dell’UO di Dietetica e Nutrizione Clinica presso l’Azienda ospedaliero-universitaria Senese. Professore all'Università di Siena. Presidente Nazionale Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI).

RISULTATI DEL TRIAL CLINICO SULLA SUPPLEMENTAZIONE CON VITAMINA D

Il trial clinico randomizzato BEST-D ha indagato l’effetto della supplementazione con vitamina D3 sui biomarcatori biochimici di stato del ferro e eritropoiesi in un campione di 305 anziani. I partecipanti, di età pari o superiore a 65 anni, sono stati assegnati in modo casuale a ricevere quotidianamente 4000 IU o 2000 IU di vitamina D3, oppure un placebo, per un periodo di 12 mesi. L’obiettivo era valutare se l’aumento dei livelli di 25-idrossivitamina D nel sangue potesse incidere sull’assorbimento e sulla disponibilità di ferro, in particolare modulando i livelli della proteina epcidina, che gioca un ruolo centrale nella regolazione dell’assorbimento intestinale del ferro. L’ipotesi era che, abbassando l’epcidina, la vitamina D potesse migliorare l’utilizzo del ferro e contribuire a contrastare le carenze, spesso presenti negli anziani. Tuttavia, nonostante un significativo incremento dei livelli di vitamina D circolante nei soggetti trattati, lo studio ha evidenziato l’assenza di cambiamenti rilevanti nei valori dei marcatori del ferro e nella funzione eritropoietica rispetto al gruppo placebo. Questi risultati suggeriscono che l’integrazione quotidiana di vitamina D a dosi moderate o elevate non è in grado, da sola, di modificare significativamente lo stato del ferro in popolazioni anziane sane con livelli infiammatori bassi.

DISEGNO DELLO STUDIO E STRUMENTI DI VALUTAZIONE

Il disegno metodologico del trial BEST-D ha permesso di ottenere risultati affidabili grazie a un’elevata aderenza dei partecipanti al trattamento (oltre l’85%) e a una distribuzione bilanciata tra i gruppi per sesso, età e condizioni cliniche. Tutti i soggetti coinvolti erano anziani autonomi, non residenti in strutture assistenziali, e non assumevano integratori di vitamina D superiori a 400 IU. I ricercatori hanno adottato una rigorosa procedura di doppio cieco e impiegato biomarcatori avanzati come la soluble transferrin receptor (sTfR) e il sTfR-ferritin index, che consentono di valutare con maggiore precisione la disponibilità del ferro anche in presenza di infiammazioni croniche. Il protocollo ha incluso la misurazione della saturazione della transferrina (TSAT%), della ferritina, dell’epcidina, del ferro totale e della transferrina, prima e dopo la supplementazione. Nonostante il miglioramento marcato dei livelli di 25(OH)D nei gruppi trattati, i valori dei marcatori specifici di carenza marziale sono rimasti invariati rispetto al placebo, dimostrando che né l’assorbimento né il metabolismo del ferro sono stati influenzati. Questo evidenzia la necessità di distinguere l’effetto della vitamina D sulla regolazione del ferro nei soggetti sani rispetto a quelli con condizioni cliniche infiammatorie o con carenze vitaminiche più gravi, suggerendo che altri fattori fisiologici o patologici possano essere determinanti nella modulazione dell’eritropoiesi.

LIMITI DELLO STUDIO E PROSPETTIVE PER LA RICERCA FUTURA

Un elemento cruciale emerso dal trial BEST-D è che l’efficacia della supplementazione con vitamina D nel migliorare lo stato del ferro potrebbe dipendere da variabili non considerate, come il grado iniziale di carenza vitaminica o la presenza di infiammazione cronica più marcata. Nella popolazione esaminata, infatti, solo una minima percentuale presentava livelli di 25-idrossivitamina D inferiori ai 30 nmol/L, soglia oltre la quale si definisce una carenza severa. Inoltre, non sono stati monitorati i livelli di assunzione di ferro tramite dieta o integratori, fattori che avrebbero potuto mascherare un eventuale effetto della vitamina D sull’assorbimento marziale. Un altro aspetto importante riguarda la tempistica delle misurazioni: eventuali cambiamenti rapidi nei livelli di epcidina, ad esempio, potrebbero essersi verificati in periodi non coperti dalle analisi. Il protocollo, focalizzato su un’osservazione a 12 mesi, potrebbe quindi non aver colto fluttuazioni transitorie ma significative. Alla luce di questi elementi, i ricercatori suggeriscono che studi futuri dovrebbero includere soggetti con carenza di ferro e vitamina D concomitante, stratificare i partecipanti in base alla presenza di processi infiammatori e misurare i biomarcatori in tempi più ravvicinati per cogliere risposte acute. Solo con questi accorgimenti si potrà chiarire se esiste un ruolo clinico concreto per la vitamina D nella prevenzione dell’anemia da carenza marziale.

BIBLIOGRAFIA

  1. Lamikanra AA et al. Effect of supplementation with vitamin D on biochemical markers of iron status and erythropoiesis in older people: BEST-D trial. Br J Nutr, 2025.
  2. Madar AA et al. Effect of vitamin D3 supplementation on iron status: a randomized controlled trial. Nutr J, 2016.
  3. Smith EM et al. High-dose vitamin D reduces hepcidin concentrations: a randomized trial. Clin Nutr, 2017.

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